PUGNI NELLO STOMACO


Opera dal titolo: BAMBOLA MIMETICA (1962).

Tempo fa, di sera, mi trovavo in Piazza Statuto a Torino, fermo al semaforo, col finestrino chiuso per non essere infestato dallo smog. L'attesa era lunga. Volgo lo sguardo a sinistra e vedo, sullo spartitraffico, uno strano individuo alto poco più di un metro, con folta barba e capelli neri riccioluti, che mi guarda: una specie di nano simile ad un personaggio dei miei disegni fantastici. Guardando meglio, vedo che ha le gambe difettose che finiscono in due enormi scarpe bianche. E' imbaccucato malamente, con una borsa a tracolla, e subito il mio sguardo afferra qualcosa di grottesco in lui: non è solo un nano. All'altezza delle spalle, due manine bianche, non più grandi di un limone (comprese le dita), si agitano come due ali di farfalla e, fra le dita - se così posso chiamarle - vedo infilati alcuni biglietti da mille lire. Fra me e lui c'è una macchina ferma con una donna al volante: quando lui le rivolge la parola, lei distoglie lo sguardo verso il semaforo sperando che diventi verde. In quel momento ricevo un pugno nello stomaco. Non riesco a fermare la mente. Scendo dalla macchina incurante del traffico e, per la vergogna, infilo in quelle dita microscopiche una banconota. Mentre risalgo sull'auto, il barbuto quarantenne grida "Grazie, grazie" con un incredibile voce di bambino. Scatta il verde e me ne vado. L'orrore mi stringe la gola perchè mi vergogno di vivere in una città dove un disgraziato è costretto a chiedere l'elemosina e ad avvelenarsi i polmoni con i gas di scarico. Lungo la strada, continuo a pensare a quell'essere che, privo di braccia, con due manine deformi e minute, non potrà mai pulirsi il sedere, non potrà spogliarsi, vestirsi, grattarsi la testa, nè provare la gioia di toccarsi o abbracciare e accarezzare un bel corpo di donna. Avevo avuto già altri pugni nello stomaco. La prima volta, nel '65, sbarco in India e subito sono circondato da un gruppo di lebbrosi, di storpi, di ciechi... "di mostri" che mi assediano coi loro moncherini e con lamenti disumani, per avere qualche monetina. La seconda volta, a Katmandu, seguo una bellissima ragazza bruna dal corpo perfetto, seminuda e dal meraviglioso incedere. I capelli neri, lucidi, raccolti sul capo, il collo lungo, i fianchi scoperti, la pelle colore caffelatte, le gambe lunghe e affilate. Tiene in braccio un bellissimo bambino che, dietro la spalla della sua mamma, mi sorride. Incantato da questa visione di sconcertante bellezza, affretto il passo per superarla e, arrivato al suo fianco per superarla, si volta verso di me. E' senza naso, come se fosse stato tagliato da un paio di forbici. Tra i due occhi stupendi a mandorla e una bocca da baci, primeggia un orribile buco rosso di sangue, bianco di cartilagine e umido di muco, come un pezzo di macelleria su un bancone di marmo (...). Non ero più io. Qualcosa di sovrumano aveva spezzato definitivamente il precario equilibrio che fino a quel momento mi aveva fatto ammettere il dolore come controparte della gioia nella vita di tutti gli esseri creati da Dio.
Alessandri (marzo 1998).
Opera dal titolo: FALSIFICATORI DI CIELI (1978).

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