LORENZO ALESSANDRI XILOGRAFO

Fin da ragazzo sono stato irrimediabilmente attratto dall'incisione.Sui banchi di scuola intagliavo le gomme da cancellare facendo timbri che stampavo dappertutto:sui libri,sui quaderni e sulle mani dei compagni.
Durante la guerra,nella tipografia di mio padre incidevo quasi per gioco il linoleum.A 15 anni partecipai senza molta convinzione ad una mostra regionale giovanile.Vinsi il primo premio per la xilografia:200 lire ed una scatola con sei sgorbie lucenti.Fu un incoraggiamento formidabile.Dal morbido linoleum passai subito al durissimo legno di bosso "tagliato di testa".
Incidevo "ex libris" per molti clienti ma molti di più ne creavo per me .Lavoravo con l'impeto di una draga,impaziente di finire,di togliere via tutto quel materiale,tutto quel bianco.
Nella foga mi scappava la mano ed il bulino affilato si piantava profondamente nelle dita;fermavo il sangue con un elastico stretto stretto a monte della ferita e continuavo a rodere il legno come un topo.Quando il dito era freddo ed insensibile toglievo l'elastico:l'emoraggia era finita.Ma forse era la mia volontà assoluta di terminare il lavoro che rimarginava magicamente ogni taglio,ogni buco.Terminata l'incisione,stampavo a mano la prima copia sfregando col dorso dell'unghia la carta sul legno inchiostrato.Non si può immaginare la felicità di quei momenti quando,sollevando con delicatezza il foglio dalla matrice,lo voltato e vedevo finalmente,stampata a rovescio l'immagine sognata.Da allora lavorai con passione a circa duecento soggetti su legno di testa,di filo e su linoleum.Dai lavori piccoli come francobolli ero arrivato a formati da manifesto .Il nero su bianco deciso e implacabile mi affascinava, ma avevo bisogno dei mezzi toni che nella xilografia classica si ottenevano con dei tratti paralleli più o meno fitti, che non mi piacevano.Allora adoperando i ferri in modo particolare,inventai una tecnica tutta mia:punti neri su fondo bianco e punti bianchi su fondo nero, variamente impiegati,con i quali realizzavo le mezze tinte.
Era un lavoro lungo e massacrante,specie nelle grandi composizioni.Lavoravo nella "soffitta macabra" e solo di notte perchè avevo poco tempo a disposizione per me.Dovevo trovare un mezzo di espressione più rapido,più immediato.
La xilografia non mi serviva più. Dovevo cambiare.Proprio in quel periodo (1954) scoprii nelle cantine della tipografia paterna un piccolo vecchio torchio calcografico pieno di ruggine e lo installai nella soffitta. Mi procurai del materiale di fortuna ed incominciai a praticare l'acquaforte. Avevo le idee molto chiare su quello che volevo rappresentare, ma tecnicamente lavoravo alla cieca e con materiali inadatti.Verniciavo due o tre piastre contemporaneamente , qualche volta ne dimenticavo una sul fornello e si fondeva.
In testa c'era già l'idea e, non avendo la pazienza di disegnare un bozzetto di guida,scalfivo direttamente la superficie nera della vernice.
Lavoravo rapidamente con il primo ferro che mi capitava:chiodo, spillo o punta che fosse.
Non mi curavo di eliminare i graffi e le rigature non volute, e appena finita la scalfitura,buttavo subito la piastra nell'acido.Anche se gli spruzzi mi sbruciacchiavano i vestiti e le mani, accarezzavo con sottile piacere le bollicine che si formavano sui solchi mentre il mordente (la famosa "acquaforte " degli antichi) rosicchiava il metallo.Nell'inchiostrazione mi impiastravo di nero fin sopra i capelli;facevo tutto a mani nude con l'incoscenza dei bambini e mi bruciavo le dita quando rimettevo la piastra sul fuoco prima di posarci su la carta inumidita.
Poi, un paio di passate al torchio e la matrice usciva dai rulli curva come una mezza luna.L'odore dell'inchiostro mi esaltava e, quando sollevavo il foglio fumante,mi sentivo un dio:avevo creato qualcosa che prima non c'era. Ma anche se la stampa era sempre difettosa e andavo a dormire poco prima dell'alba,avevo vissuto bene quella notte perchè c'era un'incisione in più appesa davanti al mio letto.
Per qualche anno percorsi la stessa via fantastica dei miei disegni "pascal",poi,come per la xilografia,anche qui il tratteggio incominciò a darmi fastidio.Dovevo trovare un sistema più pittorico per i mezzi toni.La tradizione mi offriva l'"acquatinta", ma era macchinosa: richiedeva altre morsurein più, pazienza, diligenza, pulizia e soprattutto molto tempo.Io non disponevo di tutte queste cose e la scartai.Nel '57 incominciai a scalfire la vernice picchiettando la punta del ferro in modo rapido ed irregolare . Mi inebetivo al mitragliante tic tic tic della punta che aggrediva la piastra come se fosse un nemico,provocando dei veri scoppi di vernice. Adottai questa tecnica che mi era la più congeniale e non la mollai più. Da quel momento le mie incisioni non rispecchiarono più il gusto dei miei disegni ma seguirono parallelamente i miei quadri, concepiti però con un linguaggio autonomo in cui solo il nero dell'inchiostro si era mangiato tutti i colori, e lo spirito dei soggetti era espresso in modo più intimo e letterario.
Dal 1959 al '61, mentre dipingevo le "bambole", ne incisi 17 (che corrispondono più o meno ad altrettanti quadri ad olio). E quando nel '61 e '62 incominciai a dipingere le "bestie" su tavola, comparvero anche all'acquaforte i miei "Saltacchia", "Sclassaberrocchia", "Fantasberrocchia", "Rimediatili" ecc.
Nel 1963, abbandonata la tipografia paterna per dedicarmi completamente alla professione, ebbi a disposizione più tempo,lavorai con meno impazienza e, variando l'uso dei ferri , perfezionai la tecnica del puntinato. Nel '64, in coincidenza con la nascita di "SURFANTA", fra le spire mostruose delle "bestie" comparvero i primi nudi femminili sognati e indifferenti alla mia fatica.
Il vecchio torchio con il quale avevo stampato da una a tre prove -quasi sempre difettose- non ce la faceva più. Stentavo a partecipare alle mostre perchè non avevo copie buone da esporre,finchè non trovai un appassionato stampatore nell'amico Cesare Gardini che con grande perizia mi tirò altre prove , ma non ebbi mai la soddisfazione di vedere una tiratura completa. Io stesso non avevo l'intera raccolta di almeno un esemplare di tutte le mie incisioni.
Nel '61 feci fare dalla Calcografia Pineider di Firenze una prima tiratura campione del "Rospo" (lastra N 32), in cinquanta esemplari su carta cm. 50x60. Di questa tiratura, solo le prove di inchiostrazione e le dodici copie numerate dal 9/50 al 20/50 sono in circolazione.
Tutte le altre copie sono andate distrutte.
Traslocando nella casa nuova casa di Giaveno ho potuto ritrovare e raccogliere tutte le 92 lastre e gran parte delle vecchie prove di stampa segnate nei modi più strani. Sollecitato da amici e collezionisti , ho messo ordine in questa massa di lavoro. Ho scelto 46 soggetti incisi dal 1954 al 1965, [...] e nel 1971 ho finalmente realizzato la tiratura di questo gruppo in trenta esemplari,curandone la stampa presso la Calcografia Bortolaso di Torino.
Tutte le prove d'autore precedenti , tirate nella "soffitta macabra" o nello studio di Gardini, tranne le poche in mano da anni a vari collezionisti,sono state ritirate dal commercio.
Così pure non sono in vendita le prove di stampa (minimo 5, massimo 8 per lastra) che hanno servito a mettere a punto la tiratura definitiva.
[...]
Questa è in breve la storia delle mie acqueforti .
Adesso è ora di seminare: le mando in giro per il mondo e non so quali frutti ne usciranno e quando li raccoglierò. Resterà deluso chi si aspetta di trovare in esse il linguaggio chiassoso dei dipinti.
Le incisioni, come i disegni, sono un po' il diario intimo dei pittori, talvolta espresso in un codice difficilmente decifrabile, e siccome un diario accompagna tutta una vita, la mia inebriante fatica non termina qui. Vadano pure in giro per il mondo questi fogli impressi d'inchiostro; ne sto "scrivendo" degli altri, tanti altri.
Non posso farne a meno.
Lorenzo Alessandri.
Tratto dal catalogo "quarantasei acqueforti di Alessandri" ed. Surfanta.

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